“Elogio della bicicletta“ (*) di Ivan Illich (1924-2002, libero pensatore, “anti-sistema” diremmo oggi) è uno di quei libri che ho letto molto tempo dopo l’acquisto in libreria. Ne ero un po’ diffidente, ma sbagliavo. Scritto nel 1973 (titolo: Energie et équité), tratta in modo profetico di problemi con i quali siamo ancora oggi drammaticamente alle prese, ovvero le interconnessioni tra libertà individuali, diseguaglianza sociale, tecnologie dominanti, modello economico, immaginario collettivo.
La sua tesi è che oltre un certo livello di consumo energetico, una comunità va incontro non solo al degrado ambientale ma anche a quello relazionale.
“Un popolo può essere altrettano pericolosamente ipernutrito dalla potenza dei propri strumenti quanto dal contenuto calorico dei propri cibi, ma è assai più difficile riconoscere un debole nazionale per i watt che non per una dieta malsana”, afferma.
Illich supporta la sua tesi anche con un riferimento ad una terribile guerra, quella del Vietnam, per ricordare che un esercito superindustrializzato era appena stato sconfitto da un popolo che che “si muoveva alla velocità della bicicletta“.
Per spiegare il suo concetto di “eccesso di consumo energetico” che rovina la comunità fa come esempio specifico quello della mobilità, e ricorda che l’invenzione della bicicletta e dell’auto sono contemporanee, come conseguenza della messa a punto del cuscinetto (oltre che del pneumatico e della ruota a raggi tangenti). Solo che le bici sono termodinamicamente efficienti, costano poco, non richiedono infrastrutture costose, invece le automobili consumano energia non rinnovabile, saturano le strade e richiedono la costruzione di nuove infrastrutture dedicate che stravolgono il territorio, espropriano i tempi di vita in nome della velocità.
Nonostante ciò nell’immaginario collettivo l’automobile è simbolo di libertà e possibilità, e questa convinzione resiste alla prova quotidiana di code, inquinamento, stress del pendolare.
Dal punto di vista sociale il “passeggero abituale” ( o pendolare) è abituato a considerare indispensabile il veicolo a motore e ritiene addirittura che il livello della democrazia sia in correlazione con la potenza dei sistemi di trasporto e di comunicazione; se è bloccato in treno sogna una automobile, se è in coda in auto immagina nuove strade o corsie più veloci da costruire. Ma l’inganno è che più velocità porta alla fine ad un maggior tempo personale complessivo speso per spostarsi e anche per creare reddito per pagare i mezzi “veloci” di spostamento.
Lo stimolo al pensiero critico che dà questo saggio di Illich mi pare davvero prezioso, soprattutto per l’invito a pensare ad una soglia oltre la quale il miglioramento tecnologico è inutile, anzi dannoso. Queste soglie a ben guardare si presentano nella nostra vita quotidiana come piccole o grandi scelte da fare, ammesso però che le riconosciamo invece di aderire acriticamente al pensiero dominante della società dei consumi. Quella, per dire, che ti spinge a comprare l’ultimo, fantasmagorico, tipo di rasoio per la barba anche se quello vecchio funziona ancora benissimo …..
LS
(*) Ivan Illich – Elogio della Bicicletta – a cura di Franco La Cecla – Bollati Boringhieri 2006.