ALVENTO – il Benessere di leggere

alvento – italian cycling magazine”  è un bimestrale edito da Mulatero ed esce in edicola dal luglio 2018. E’ molto curato nella grafica, nei testi e nelle foto. In copertina si  legge questa avvertenza:  “switch off your mobile before reading“.

Il numero 4 in  edicola dal 15 aprile è dedicato alla Primavera e riporta all’interno – a pagina intera – questa frase di P. Neruda, in bianco su sfondo rosso: “potranno recidere tutti i fiori, ma non potranno fermare la primavera”.

C’è un bel servizio sulla Strade Bianche  2019 (“Etica e polvere”), uno sulla Milano Sanremo, un racconto di viaggio in Patagonia e uno sul Tour of Guangxi, una presentazione della chase the sun: dall’Adriatico al Tirreno, e molto altro.

Ma si fanno notare anche l’editoriale di pag. 9 “Siamo sporchi” dove si stigmatizza duramente l’abitudine di certi ciclisti di buttare gli incarti dei gel vuoti a lato delle strade, e in particolare a pag. 144 (l’ultima pagina), la rubrica “ultimo chilometro” intitolata Benessere. Qui sotto copiamo il testo

LS

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Benessere

Ho un amico che lavora in Canyon a Coblenza, è una delle più grandi aziende del mondo che produce biciclette sportive. Hanno un modello di business rivoluzionario e le vendita delle loro biciclette avviene soltanto on-line. Ogni giorno il mio amico si fa 17 chilometri di ciclabile per andare a lavorare e altrettanti per ritornare a casa, tutti i giorni anche se piove o nevica, sempre. Non possiede un’automobile. Una volta gli ho chiesto se non era scomodo andare a lavorare tutti i santi giorni in bici e lui mi ha risposto che era una figata.

“In fondo è un’ora di bicicletta tutti i giorni, c’è gente che se li deve fare in auto restando in coda”.

“E se un giorno per caso sei un po’ malato ?”

“Ci vado con i mezzi pubblici”.

“Ma non è scomodo ?”

“Certo, infatti preferisco la bici”.

Gli avevo fatto una domanda che un secondo dopo averla posta mi ero reso conto che era una domanda idiota: gli avevo chiesto se per caso la sua azienda o lo Stato o qualcuno (non avevo idea chi, esattamente) gli dava un incentivo per andare a lavorare in bicicletta invece che in auto. Lì lui mi aveva guardato veramente come un poveraccio. Come un idiota. Come uno che non capisce. Come un italiano, come gli stranieri pensano agli italiani, gente che si aspetta sempre che per fare una cosa serva un’Olimpiade o un incentivo della Comunità Europea o dello Stato o delle Regioni, o di chissà chi. “L’incentivo è che dove vivo ci sono delle ciclabili bellissime e vado in bicicletta tutti i giorni e intorno a me ci sono tante altre persone e famiglie che non usano l’auto e fanno come me. E si sta bene.”   Lì, io – che ho un’idea di me stesso di uno abbastanza moderno su certi temi – mi ero reso conto di quanto invece sono e siamo ancora indietro, di quanto anche quando ci crediamo progressisti e moderni siamo distanti anni luce dalla mentalità che serve per cambiare certe cose che in questo Paese ci tiriamo indietro da secoli. “Nella mia azienda, quando uno arriva al lavoro al mattino in bicicletta, ci sono degli spazi per sciacquare la bici, casomai si sia sporcata di fango pedalando sulla ciclabile. Poi ci sono degli spogliatoi dove se vuoi puoi lasciare la tua roba ad asciugare e le docce, se vuoi farti una doccia prima di andare in ufficio. Nella pausa pranzo puoi uscire ad allenarti. Gli incentivi sono il miglioramento della qualità della vita – mi aveva detto il mio amico – e bisogna darli alle aziende che lavorano in un certo modo, non ai privati cittadini”.     Lì ho capito che aveva ragione.

Se noi vogliamo che il mondo cambi intorno a noi non bisogna sperare genericamente che questo cambiamento  lo faccia lo Stato o la legge erogando dei contributi o degli incentivi ai privati; bisogna cambiare le aziende dove andiamo a lavorare. In fondo è lì che si produce la ricchezza e che spendiamo la maggior parte del nostro tempo.

E poi il resto, cambierà di conseguenza.

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