La bici e gli anni ’20 del secolo XXI

E’ appena iniziato il nuovo anno, e con esso il nuovo decennio, e si cerca di cogliere i segnali importanti per il futuro. Le tematiche  ambientali – che come cicloambientalisti ci stanno particolarmente a cuore – godono di nuovo e grande interesse e muovono speranze e preoccupazioni. Per questo, ci dice Paolo Pinzuti nel suo  Post su Bikeitalia.it,  la bicicletta sarà inevitabilmente protagonista di un cambiamento necessario.

C’è in giro un fermento di chi vuole impegnarsi. Nel mondo i Fridays For Future ispirati da Greta Thunberg, che ci ammonisce di ascoltare gli scienziati (come sbaglia di grosso chi la denigra …). Da Milano è partita l’iniziativa Cittadiniperlaria.  Nel nostro piccolo mondo del cicloattivismo, – ma mica poi tanto piccolo – la campagna della Ciclovia Aida  rappresenta bene questa volontà di  lasciare un segno per il buon cambiamento. Questa campagna deve essere di ispirazione anche per le nostre azioni per il ciclismo urbano, come ci siamo detti nella serata di presentazione   a Varese. Perché la città è l’ambiente, spesso ostile, dove pedaliamo ogni giorno e dove di più dobbiamo difenderci, anche cominciando ad usare bene le parole, come FIAB e altre associazioni sottolineano nella  Lettera Aperta  di fine dicembre ai Direttori di giornale. E’ così: la  sicurezza è soprattutto  un problema di linguaggio, di comportamenti inadeguati legati ad un immaginario mistificante.

La bici se è strumento “magico” in città, non è da meno in campagna.  Sappiamo che l’Italia ha tanti luoghi bellissimi e oggi poco frequentati ma con una antica storia che ha lasciato abbazie, pievi, borghi medievali, viabilità in armonia con la forma del territorio, luoghi per i quali dobbiamo immaginare una nuova vita come ci ricorda il poeta e paesologo  Franco Arminio.  Anche lo sguardo del cicloturismo lento servirà per questo. Il paesaggio, per esistere, deve essere percepito da chi guarda (1). E chi pedala in un territorio è immerso, quasi quanto chi cammina, in esso stesso. Quindi chi pedala produce paesaggio nel senso che dà importanza e rilevanza ad elementi che altri definirebbero secondari o marginali (il confronto è, come al solito, con chi usa solo i mezzi motorizzati …).

In conclusione: non basterà usare il velocipede per salvare il mondo e la sfida climatica forse è già persa, ma la bicicletta è il mezzo di trasporto che più ci dà consapevolezza e ci lega al contesto dove viviamo abitualmente o che attraversiamo come viaggiatori. La bici può aiutarci ad immaginare – ed a realizzare – un mondo migliore.

Leonardo S.

(1): “Pedalare il paesaggio.Bicicletta, paesaggi e patrimonio culturale” di Valeria Volpe (IMT Lucca).

(2) Disegno di Gigio Aliverti