LA GRAVEL DA MILANO AL TICINO

It’a a Ride not a Race”  –  “Far not Fast”.   Troppo spesso gli anglismi si infiltrano nel nostro comunicare, ma in qualche caso forniscono una sintesi efficace.  Una pedalata impegnativa ma senza l’ansia della classifica:  questa definizione, per usare l’italiano,  ha stimolato la mia curiosità di ciclista e mi ha spinto a partecipare  alla MILANO GRAVEL ROADS    di sabato 27 ottobre.

Certo ho dovuto prendere il treno delle 5.36 da Varese e non dar troppo credito alle minacciose previsioni del tempo, ma ne è valsa la pena.

Arrivo alla stazione di Milano-Garibaldi che è ancora buio, ma alla metropoli  medio-padana non mancano le luci e il movimento della grande città operosa. Il ritrovo è alla sede della Canottieri S.Cristoforo sul Naviglio Grande, perciò devo attraversare la città. Arrivato in centro, mi infilo in Galleria, soprattutto per fare un prelievo bancomat che eseguo stando attento a non calpestare un vagabondo cencioso  che dorme al calduccio del locale chiuso.  Milano è cosi: ricchezza e disperazione, insieme.

Quando esco dalla Galleria  però piove forte e devo indossare la mantellina. Ad un certo punto mi superano 4 ciclisti con degli zaini:  vanno forte e li inseguo con qualche rischio (binari del tram …) convintissimo che siano diretti al ritrovo ma quando si fermano e rivolgo loro una domanda, capisco che partecipano ad un’altra manifestazione …

Comunque il Naviglio Grande alla fine lo trovo lo stesso e di conseguenza anche la sede della Canottieri. Alla  partenza tutto è puntuale e preciso, la spunta dei nomi, la consegna dei numeri, poi si parte a gruppetti, ora non è più buio.  Io e qualcun altro ci accodiamo a  quelli che sembrano più preparati sulla conoscenza del percorso.

I primi chilometri lungo il naviglio, nella periferia di Milano, sono di chiacchiere allegre, per farsi coraggio, per conoscersi e perché ha smesso di piovere. Poi comincia la campagna e siamo più silenziosi, tenendo su asfalto i 30 all’ora di media. I colori dell’autunno, sotto il grigio del cielo, ci sono tutti: i marroni i verdi i gialli, l’acqua dei canali in certi punti pare liscia come una lama d’acciaio, ma più spesso  la superficie è increspata da un venticello leggero.

Cusago, Cisliano, Cassinetta di Lugagnano, Boffalora, Bernate; cascine e campi, corvi, un airone, allevamenti di cavalli. Poi entriamo in un bosco umido e all’uscita si presentano davanti a noi,  come gambi di funghi giganti ma “scappellati”,  le ciminiere di Turbigo.  Si passa il  Ticino sul ponte di ferro e siamo in Piemonte.

Il bello di questo modo di pedalare, privo di ansia agonistica, è che si socializza. Al 50esimo chilometro circa faccio parte di un gruppo di sei pedalatori, e uno di questi è Gianni, il più giovane e dotato di gran barba, che va sicuro nello zig-zag dei sentieri come fosse a casa sua. Mi spiega che conosce bene la zona … però il suo accento mi pare decisamente pugliese …. infatti lo è ! Finiamo così a parlare non di risotti, ma di olio, olivi, taralli al finocchio …

Si comincia ad aver fame: al 65 km il primo ristoro ufficiale ed il timbro di controllo. Solo a queso punto decido di attivare la traccia sul mio orologio GPS Tom Tom, e devo dire che per i quasi 100 km successivi non mi deluderà (temevo,  sinceramente,  per la tenuta della batteria) …

Dai campi passiamo alla elegante Piazza Ducale di Vigevano: anche qui sosta per timbro e mettere giù qualche altra caloria,  e anche per qualche foto.

Ripartiamo in tre, questa volta, e con Antonio e Paolo pedaliamo e parliamo di ciclismo, come quelli che nei pranzi delle feste parlano di ricette prelibate.  Loro sono ciclisti con molti chilometri nelle gambe, ci scambiamo pareri sulle Granfondo in Italia e all’estero (Antonio quest’anno è stato nelle Fiandre), sui luoghi italiani più ospitali per gli amanti delle due ruote, della rivista Cyclist (di cui Paolo è un collaboratore) e delle tribù di ciclisti che non sempre dialogano tra di loro. Strade e sentieri regalano  silenzi e armonia con la natura, vicino a numerosi corsi d’acqua, vecchi rami secondari del fiume. Qui non è piovuto, i sentieri sono polverosi.

Vicino al punto di controllo Il Boscaccio, troviamo il ponte di barche di Bereguardo:  ferro e legno e rumoracci proporzionati al peso dei mezzi che passano. Di là ricominciano i campi coltivati, strade ben tenute e alcune con filari di alberi (salici) appena piantati. Superiamo Cascina Caremma, con maialini che, in ampio e comodo recinto, pigramente attendono vicino al ristorante il loro turno a tavola. Poi appare improvvisamente, in alto,  maestosa, l’Abbazia di Morimondo, dove ci tocca una sosta imprevista per la rottura di una catena, peraltro risolta in pochi minuti. Poi Naviglio (Comune, si legge in un cartello stradale, munito di “Osservatori Civici”) e – tramite il parco Sud di Milano che attraversiamo mentre inizia a piovigginare –  riconquistiamo il Naviglio Grande.

Abbiamo il vento contro ma io e Antonio non cediamo e facciamo un’andatura discreta in coppia, a Corsico superiamo il centro culturale buddista Ikeda, un edificio tutto dorato che mi riprometto di visitare, poi è tutto – quasi – diritto sino al civico 122 della Canottieri S. Cristoforo, dove ci aspetta il timbro di Finisher (saremo in 70, a conti fatti) sul cartoncino, per la giusta gratifica morale, e birra e panino, per il dovuto ristoro del corpo; il mio computerino segna 4.700 calorie consumate dalla partenza, (e meno male che era un grave “flat” …)

Ci salutiamo con i compagni di giornata con un cordiale e sincero:  “alla prossima !

Leonardo Savelli

 

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