Chris Boardman, uno di noi !

Chris Boardman (Hoylake, 26 agosto 1968) è un ex pistard e ciclista su strada britannico. Professionista dal 1993 al 2000, fu campione olimpico nell’inseguimento ai Giochi della XXV Olimpiade del 1992 e detenne il Record dell’ora in più occasioni.

Qui sotto è riportata la mia traduzione (quindi chi sa l’inglese farà bene a leggersi l’originale …) di un suo brano a pag. 149 della copia appena uscita del  The Ride Journal (rivista inglese sul mondo delle biciclette nel più ampio senso possibile)  con il titolo “Wheels of Change“, dove parla di bici come mezzo di trasporto, di scelte politiche, di soldi sprecati e soldi investiti bene, di cambiamento sociale.

Un ciclista (ex) professionista che si spende per la mobilità sostenibile non è notizia frequente: merita una lettura !
Ci auguriamo un suo pieno successo, questa volta “politico” dopo i tanti “sportivi”,  e che abbia molti imitatori, anche in Italia.   

LS
NB: ho tradotto  “cycling” con  “ciclismo”,  da intendersi perciò qui in senso non prettamente sportivo.

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Ruote per il cambiamento

Durante la mia carriera sono stato spesso in Europa e ho fatto esperienza di cosa significhi pedalare nel continente.
In molti paesi europei l’uso della bici è molto più diffuso che in UK;  gli automobilisti spesso sono anche ciclisti, così il loro atteggiamento verso i ciclisti è molto differente. Guidano con empatia verso di noi.
La differenza di atteggiamento era molto evidente in Francia. Gli automobilisti lì sono felici di aspettare dietro un gruppo di ciclisti, prima di poterli sorpassare. Erano evidentemente più pazienti. Non ricordo che qualcuno mi abbia volutamente tagliato la strada come punizione per aver rallentato la sua marcia pedalando davanti.
Il mio interesse nella bicicletta come mezzo di trasporto di uso quotidiano è di molto tempo fa.
Dieci anni fa sedevo nel Consiglio Nazionale Strategico per il Ciclismo, un organo governativo istituito per promuovere il ciclismo in Inghilterra. Ero entusiasta, ma anche giovane ed ingenuo. Non avevo capito che la creazione del Consiglio era fine a se stessa. Il Consiglio semplicemente non aveva poteri effettivi e alcun finanziamento. Dopo 18 mesi mi resi conto che eravamo usati per meri fini propagandistici, senza che alcuna azione concreta fosse intrapresa, così detti le mie dimissioni.
Poi, tre anni fa, agli ordini di Martin Gibbs, direttore per le politiche gli affari legali del British Cycling, sono stato di nuovo coinvolto. Martin è un appassionato di ciclismo come semplice mezzo di trasporto ed era l’uomo propaganda dell’organizzazione. Mi chiese se potevo partecipare ad un paio di eventi nel 2012, giusto per dare una mano. La mia presenza fece notizia ed ero un personaggio fuori dal comune per questo tipo di manifestazioni. In quel periodo imparai alcune cose sulle sue campagne e mi resi conto di cosa sarebbe successo se il 10 per cento degli spostamenti in UK fosse stato in bici. Era una cosa così logica che divenni appassionato di ciò. Martin presto cominciò a lavorare con Brian Cookson all’U.C.I., così presi io le redini. Adesso abbiamo un team piccolo ma efficace alla British Cycling, dedicato all’attività di lobby e a presentare il ciclismo come un attività attraente e sicura. Questa attività mi impegna 60 giorni all’anno ma se possiamo avere un cambiamento – e io credo che possiamo – è un uso eccellente del mio tempo.
Io sono una persona molto razionale. Mi piace avere a che fare con dati di fatto e dimostrazioni. Nel caso del ciclismo la decisione politica è molto emotiva. Non c’è alcun motivo fondato per cui non dovremmo fare di tutto perchè camminare e pedalare diventino i principali mezzi di trasporto in UK.
Non so se la battaglia potrà essere vinta ma è una battaglia meritevole di essere combattuta, e – senza voler sembrare moralista – è un buon uso del mio tempo cercare di promuovere questo cambiamento.
Sarebbe una soddisfazione immensa poter contribuire a raggiungere l’obiettivo del 10%.
Non sono una persona che fa castelli in aria e capisco gli ostacoli al cambiamento. La mia famiglia ha due auto ed io percorro 40.000 km all’anno. Le auto hanno il loro ruolo nella società, ma le abbiamo lasciate dominare il nostro immaginario dagli anni ’70 in poi.
Nella mia città natale di West Kirby io pretendo che i miei figli possano uscire e divertirsi in strada con le loro bici, o raggiungere il parco che dista 450 metri, e voglio essere tranquillo quando li lascio fare questo. Non penso che sia una pretesa assurda e detto in questi termini molte famiglie sarebbero d’accordo. Non solo, sarebbero anche disposte a qualche sacrificio per realizzare queste condizioni. Ecco perchè è importante definire lo scopo per prima cosa, piuttosto che continuare a parlare di mezzi di trasporto.
Non è nemmeno questione di “bicicletta”, è piuttosto questione di creare un ambiente in cui tutti vogliamo vivere e far crescere i nostri figli. Le bici sono solo una componente – evidentemente importante – per raggiungere lo scopo.
Negli anni  ’70 il governo olandese fece un consapevole scelta di rendere le sue strade più vivibili per i suoi cittadini. Per raggiungere lo scopo rese il pedalare e il camminare i mezzi di trasporto privilegiati. Una volta fatta la scelta la pianificazione urbana, le decisioni di spesa e la legislazione si adeguarono a questa decisione.
Negli ultimi 40 anni gli olandesi hanno creato una cultura che dà priorità alla persone nel sistema dei trasporti. Se cammini nei pressi di un attraversamento pedonale, il traffico si ferma e dà la precedenza ai pedoni. La legislazione sta alla base di questa cultura con leggi efficaci che proteggono gli utenti più deboli della strada. La filosofia di questo paese è concretizzata nelle leggi e rinforza il messaggio su chi ha la priorità sulle strade. In città come Utrecht e Amsterdam , e Copenhagen in Danimarca,  più di un terzo degli spostamenti sono su bici ed il 50% degli studenti va a scuola pedalando.
Qui in UK la filosofia dietro al nostro primo tentativo di rafforzare l’infrastruttura ciclistica era “metti al sicuro i ciclisti togliendoli dalle strade usate dalle auto”.
Il risultato fu un ridicolo fastello di provvedimenti per cui gli ingegneri tentavano di fare qualcosa per i ciclisti senza chiedere agli automobilisti di cambiare il loro comportamento. Di fatto centinaia di milioni di sterline sono stati sprecati. Sarebbe stato più produttivo dare questi soldi direttamente al Servizio Sanitario Nazionale.
Se la filosofia fosse di dare priorità al pedalare e al camminare, allora bisognerebbe fare di loro i mezzi di trasporto privilegiati e più attraenti. Le azioni coerenti con questo, che siano leggi o infrastrutture, sarebbere molto differenti.
Convincere le persone a cambiare le loro abitudini è la vera sfida, che è stata affrontata con abilità a New York, un’altra città tradizionalmente auto-centrica. E’ cominciato dall’alto, con il sindaco Bloomberg nel 2007. Piuttosto che forzare il cambiamento, che avrebbe visto la gente imbracciare il fucile, il suo team andò nelle comunità locali e disse “vogliamo togliere i parcheggi auto e mettere cosie ciclabili. Possiamo dimostrare che questo migliorerà, anzichè danneggiare, i vostri affari. Non dovete crederci sulla parola, ve lo dimostreremo con i fatti. Faremo delle modifiche con vernice e paletti rimovibili per separare auto e ciclisti e se non vi piace in 6 mesi li toglieremo e tutto tornerà come prima”.
Il “prova prima di comprare” era la chiave. Dava alla comunità il controllo della situazione. La resistenza si riduceva, e sei mesi dopo, gli abitanti gradivano il cambiamento e la nuova sistemazione diveniva permanente. Non solo, anche le strade vicine volevano lo stesso. Il progetto sta continuando e rapidamente espandendosi. Ora ci sono centinaia di chilometri di piste ciclabili in New York ed il 73% in meno di incidenti.
Il progetto di New York, più ancora di quello europeo, è un buon esempio per l’UK. Non è costoso, fatto di cemento e acciaio – è solo una prova per le persone, all’inizio. Rende le persone partecipi dei risultati, dà potere ai singoli e la sensazione che il potere centrale non li costringe a subire decisioni, ma piuttosto li coinvolge. Molti di noi hanno una istintiva paura del cambiamento e questo metodo ne tiene conto.
La grande domanda è ora: perchè non tutti i partiti politici si impegnano per il cambiamento ? Non ho trovato un solo politico negli ultimi due anni che non mi abbia detto – con apparente sincerità – che avere più gente in bici sarebbe un bene per il paese. Ma una volta che vai al dunque, quella paura del cambiamento entra in gioco.

E’ una paura non basata sul razionale. C’è ampia dimostrazione che queste idee funzionano. E’ solo una paura istintiva del cambiamento. Perciò se vogliamo il cambiamento dobbiamo affrontare questo istinto umano. Mi fa arrabbiare che qualcosa di talmente razionale sia così difficile da mettere in pratica. Dal punto di vista economico, ambientale, della salute, sociale, non ci sono aspetti negativi. Persino più irritante è che siamo circondati da esempi che funzionano.
A Cambridge un terzo degli spostamenti sono fatti in bici ed è un posto splendido in cui vivere. Ma le persone si preoccupano di come il cambiamento li colpisce e votano di conseguenza. I politici vogliono mantenere il posto per prima e principale cosa.
Molti politici di esperienza sono alle prese con questo dilemma. La soluzione è mantenere alta l’attenzione e fare le cose poco per volta sino a che non raggiungi il punto di svolta. Siamo nel mezzo di un cambiamento culturale e il cambiamento culturale significa due cose: lentezza e fatica.
La ragione per cui sono coinvolto, anche se esistono persone con molta più conoscenza della materia di quanta ne abbia io, è che io capisco i media. I media sono il campo di battaglia dove perderemo o vinceremo la battaglia del dibattito sul ciclismo. Io so che, che ci piaccia o no, che sia logico o no, il messaggio deve essere “impacchettato” in 15 secondi di intervista o in un tweet. Io sono un personaggio e quindi faccio notizia. Se chiedo un incontro ad un parlamentare, un ministro o un funzionario pubblico, è difficile per loro dirmi di no. Se rifiutano, fa notizia: Tizio ha persino rifiutato di parlare con Chris Boardman !
Così metto un piede nella porta e una volta entrato ho una possibilità di influenzare le persone.
Naturalmente le persone dovrebbero ascoltare qualcun altro, io lancio solo il messaggio. Non voglio insegnare alle persone quello che devono fare, voglio solo porre le giuste domande e renderle comprensibili: dove volete vivere tra dieci anni ? Come volete che sia la vostra città o paese ? In che tipo di ambiente volete che vivano i vostri figli ? E come pensate che possiamo avvicinaci a quella visione ?
Se alle persone sono rivolte le domande giuste, auspicabilmente arriveranno alle medesime conclusioni. L’attenzione per ora ora è su quello che perderemo. Il nostro lavoro è spostare l’attenzione su quello che guadagneremo, e questo è compito mio. La più grande domanda che non ci facciamo mai è: cosa succede se non cambiamo ?
Ci stiamo avvicinando all’obiettivo molto più velocemente di quanto molte persone non pensino.
Nella legge sulle infrastrutture appena licenziata dal parlamento, per esempio, per la prima volta si stabilisce come requisito obbligatorio il tenere conto della bicicletta nella realizzazione di infrastrutture. Il ciclismo è stato storicamente trattato come una materia da “gentile concessione”, con tanti soldi gettati al vento, ma senza mezzi di finanziamento sicuri sui quali potessero contare le amministrazioni locali. I politici ora non hanno più alibi e sono per legge obbligati ad avere una strategia per il ciclismo.
Non stiamo facendo tutti i progressi che noi vorremo ma senza dubbio stiamo ottenendo dei successi.
E penso che le cose vadano come devono andare in questo paese. Queste sono le fondamenta sulle quali sarà costruito un significativo cambiamento. Questo mi fa sperare che ci stiamo tutti muovendo nella giusta direzione.

Chris Boardman, Wiral UK. Happy to now be on the other side of the barrier.boardmanbikes.com.gloryillustration.com.