LA MIA “STRADE BIANCHE”

 

Ho fatto la mia prima GranFondo a quasi 50 anni, lo scorso 5 marzo. Era la terza edizione della  Strade Bianche, preceduta il sabato dalla gara di livello mondiale dei professionisti. Eravamo tanti, quasi 5.000, segno che lo Storytelling di questo evento funziona.

LO “STORYTELLING” UFFICIALE .

Per un appassionato di bici esisteva più di una buona ragione per esserci, sul circuito di 129 o 77 km: il paesaggio unico, il contatto ravvicinato con i campioni, il fondo particolare perchè misto asfalto e sterrato, l’arrivo in una delle più belle piazze italiane.

Poi ci sono gli sponsor importanti (Trek in primis) e una comunicazione che corrobora l’Ego Ciclistico: lo slogan “you are in the legend”, l’SmS dopo l’arrivo (“Ciao LEONARDO, BRAVO! Il tuo tempo alla Medio Fondo è di 03.18.42” è quello apparso sul mio telefonino), il diploma in PDF che mi è arrivato via email, e graficamente devo ammettere che è più bello di quello della mia laurea !
E se piove, come è piovuto, il concetto è che “è proprio un clima da grande classica del nord”, che sottointende “evviva il freddo e l’acqua, che ci rendono più eroici”.

Poi ci sono i giornali locali, che enfatizzano anche loro, magari gli aspetti meno eroici. “Follia sulla Granfondo: chiodi e filo spinato per fermare i ciclisti. L’assessore Tafani: una vergogna“, titolava il giorno dopo a tutta prima pagina il Corriere di Siena. Non ne sapevo nulla,  ho comprato una copia, ma – come a volte accade – nell’articolo sotto il  titolone notizie dettagliate non ne ho trovate.

COME E’ ANDATA, CON PAROLE MIE.
Io c’ero un po’ per curiosità (“ce la farò ?”), un po’ per nostalgia del pedalare sui saliscendi sterrati della mia gioventù, un po’ per sentirmi eroe al modico prezzo di 50 euro di iscrizione, essendo vitto e alloggio gratis presso la casa materna.
Raccolgo qui sotto qualche fatto, e qualche riflessione.

STRADE BIANCHE ? Una precisazione cromatica: bianche lo sono se il tempo è asciutto. Altrimenti, se piove, il colore è beige, e quando lavi i panni a mano nel dopo-gara l’acqua diventa una cremina di un bel nocciola chiaro. Quando la fanghiglia si asciuga, sulla bici ad esempio, il residuo in parte è polvere fine, in parte sabbiolina. Con la mia Trek da ciclocross con freni a disco, comunque, me la sono cavata bene.
IL SABATO: corrono donne ed uomini professionisti, gli amatori fanno la fila nella fortezza medicea per prendere il pacco-gara ed il numero e curiosare tra gli stand degli sponsor. In città tanta gente, alberghi e ristoranti pieni, gli “amatori” e i loro amici e parenti si riconoscono a prima vista. Qualche senese indifferente, oppure insofferente a transenne e blocchi del traffico, si poteva facilmente incontrare.
DOMENICA: SI PARTE ! Non lo nego: la tensione ce l’ho, la sera e la notte prima, nonostante il mio spirito cicloturistico, più che agonistico.
E poi le previsioni danno freddo e pioggia alla mattina presto, poi miglioramento. Come mi vesto ? Ci penso bene e decido di mettere su un po’ di strati: 6 per la precisione. “Ok, ora la scimmia nuda è vestita e può andare a pedalare” mi dico uscendo di casa, per sdrammatizzare il momento. Arrivo in fortezza con largo anticipo e già un’ora prima della partenza sono in griglia, ho il n°636 quindi sarò tra i primi a partire. Vedo i volontari e le volontarie a presidiare i punti critici con l’ombrello e penso: “ma forse i veri eroi sono loro, prendono freddo e acqua e non credo si divertano”. Lo speaker fa il suo mestiere, incoraggia ed intervista i campioni venuti a fare una passeggiata: Bettini, Cancellara, Basso, etc. Questa storia che il clima nordico è un tocco di fortuna non pare convincere tutti, a giudicare dall’espressione scettica sul volto del mio vicino, che viene da Sorrento. Poco più in là un tipo elegantemente abbigliato Rapha, barba lunga ma curata, seduto sulla bici e appoggiato alla transenna ha accanto una donna bionda che lo tiene al riparo sotto un ombrello, mentre tutti noi altri ci prendiamo la pioggia. Strano modo di distinguersi nella massa.
Intanto anche la Torre del Mangia scompare, in parte, dietro una nuvola violacea.
Qualcuno fa pipì contro le antiche mura medicee: una partenza di gara ciclistica non è un pranzo di gala, va bene, ma sono contento che a me non “scappa”.  Se dio vuole arrivano le 9.00: si parte, in discesa, già bagnati fradici, con la prospettiva di infangarci ben bene tra pochi km.
IL FATTACCIO: ormai sono in un gruppo grande di gente che pedala, qualcuno parecchio forte. Quindi pedalo anch’io, forte quanto posso: conformismo, penso, più che eroismo. Bello vedere la gente, sotto l’ombrello, ai lati della strada nei piccoli borghi di periferia che incoraggia. Brutto vedere un incidente: un ciclista schiena a terra e gambe piegate che si lamenta a voce alta. Un monito per chi pedala e non si ferma.
L’ODORE: dalla Val di Merse si risale per un lungo sterrato in mezzo ai boschi verso le colline “cretesi” come è scappato di dire alla speaker in partenza. Odore umido di macchia mediterranea, familiare e benefico, almeno per me. Qualcuno ha bucato, altri si fermano per la pipì (ancora?): comunque stavolta anch’io.
IL BIVIO: ai 30 km, poco dopo un ristoro, il bivio tra percorso lungo e medio. Per me il medio, come prestabilito, però il prossimo anno …
LA SOFFERENZA: il lungo tratto di asfalto pianeggiante lo soffro, passano gruppetti veloci, io faccio il mio passo, da solo. Decine mi sorpassano, pochi sono quelli che invece sorpasso io. Poi arrivano gli strappetti in salita, i muscoli mi fanno davvero male, se potessero parlare mi direbbero: “ma in che situazione ti sei andato ad infilare, disgraziato !” La zona tra crete senesi e Chianti la conosco meno, belle stradine che meriterebbero lentezza, ma non ho intenzione di cercare scuse. Sono andato persino in palestra, questo inverno, per prepararmi a questo giorno!
IL FINALE: ultimo ristoro a 7/8 km dall’arrivo, banana e tè caldo, volontari gentili e numerosi. I miei muscoli si sono rassegnati a soffrire, e c’è pure chi sta peggio: davanti a me uno scalcia di lato una gamba e poi l’altra, crampi sicuramente. Finalmente il cielo si è aperto, pedalo in zona Cappuccini e vedo la Torre del Mangia. L’arrivo è lì a poca distanza, è fatta, mi dico, mi viene quasi voglia di rallentare. Per godermi il più possibile gli ultimi km ? Forse, ma anche perchè conosco bene l’ultima salita, quella di Santa Caterina, che  viene dopo il “canyon” di Via Pescaia, e mi preoccupa non poco la sua pendenza. Entro in città da Porta Fontebranda, qualche ricordo personale mi attraversa la mente come brevi flash, poi cerco dei tornanti immaginari per affrontare la via che ricorda la santa, che qui vicino aveva la casa. Su in cima la gente incita e dice “bravo” a tutti. Quindi penso: non posso mettere il piede a terra e non devo nemmeno tamponare quello davanti che forse ne ha di meno di me, e poi la strada si stringe in cima … spingi un pedale, spingi l’altro pedale … Fatta ! Via delle Terme, poi breve tratto in discesa che è come un tappeto di velluto rosso a questo punto e l’arrivo in Piazza. Soddisfazione & Appagamento. Mi metto vicino a Fonte Gaia e tolgo qualcuno dei 6 strati. Un paio di persone fotografano la mia bici, fangosa in modo attraente, a quanto pare.

In conclusione: a quasi 50 anni la mia prima GF, forse solo per fare l’arrivo nella Piazza che ho calpestato tante volte da bambino ragazzo giovane.
Ciao LEONARDO, BRAVO! Il tuo tempo alla Medio Fondo è di 03h.18m.42s” mi dice l’SmS dell’organizzazione MySdam.
Ciao Leo, sei tornato ancora una volta qui da me, bravo; non ti trovo male per l’età che hai … ti aspetto alla prossima ”  immagino – fantasticando – che mi sussurri la Torre del Mangia.

leonardo savelli

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